Silvia / #casa

Case d'artista

Silvia - Casa

I sogni nel cassetto non pagano un affitto, le rate del disordine. Mi serve un posto fisso e un posto vale un altro per tutti quelli come me. Lo ha scritto anche in una canzone, Silvia. E proprio con quelle parole in testa sta in fila per partecipare a un nuovo talent scout. Se ne vergogna, profondamente. Cerca di nascondere la faccia con i capelli, come una tenda tirata. Ma come si fa a resistere? In palio ci sono tre anni di contributo d’affitto e questo le fa proprio gola. Come fa da sola a pagarsi una casa? Non ha un lavoro normale. È un artista part-time e forse è la volta buona che questo può giocare a suo favore. Stanno infatti cercando artisti squattrinati che ancora vivono con mamma e papà per aiutarli nelle loro imprese eroiche di rendersi autonomi e visibili. Ti pagano l’affitto e in cambio ti chiedono di seguirti nella tua casa e nel tuo lavoro. Come? Semplice, con decine di telecamere piazzate in casa e una da attaccarsi alla cinghia dei pantaloni, quando esci. Sono escluse in bagno e per mantenere un minimo d’intimità le telecamere si spengono alle due di notte e si riaccendono alle sei di mattina. Silvia s’è letta tutto il regolamento. Sa che il primo anno d’affitto è sicuro, poi però, entra in competizione con gli altri inquilini artisti delle altre case. I telespettatori da casa votano l’artista, ma anche il modo in cui ha sistemato casa, come la vive, che persone invita, che vita tiene. Non tanti dentro una casa sigillata come ne Il Grande Fratello, ma tante case aperte e in ognuno un artista. Il talent si chiama Case d’artista ed è un format tutto italiano, come si vantano gli autori. Sanno bene di intercettare un bisogno, quello della casa che per i giovani talenti artistici italiani spesso è una chimera. Il boom di domande da tutta la penisola non s’è fatto attendere. Il regolamento lo ha fatto leggere anche a sua sorella avvocato. Si sono abbracciate e poi si sono messe a piangere. È una sconfitta anche solo tentare, ma che altro c’è da fare? Ha deciso di provare. Quando l’hanno chiamata per il provino le è preso un calo di pressione, ha preso di tasca una caramella, l’ha succhiata velocemente e poi è entrata per rispondere alle domande.

Ho sempre vissuto con i miei genitori, mia sorella e mio fratello. I miei genitori sono musicisti. Mio padre è un concertista di musica classica e mia mamma insegna pianoforte al conservatorio. Mio fratello è violinista, mia sorella è l’unica ribelle, si fa per dire. Fa l’avvocato. Abbiamo sempre vissuto in case piene di musica. A tavola pane, Mozart e Chopin. Ho sempre respirato un’aria bella. Se proprio devo dirlo, da mio babbo ho preso più il lato creativo, mentre da mia mamma la disciplina. Abbiamo sempre vissuto a Firenze, però di case ne abbiamo cambiate tante, di quartieri ne abbiamo provati tanti. Campo di Marte, Stadio, Centro, via Marconi, Piazza D’Azeglio, tanti. Immaginatevi i traslochi, una famiglia numerosa e di musicisti. La cosa più dura era spostare il pianoforte. E poi Greta, il nostro enorme cane. Per questo abbiamo sempre avuto il giardino, però ecco, io da sola posso stare anche senza giardino. A me, se devo dare un’indicazione, piacerebbe stare sempre a Firenze, magari vicino ai miei che adesso stanno in Via Bolognese e mia sorella che ha lo studio di avvocato in piazza Dalmazia. Però vedete voi, mi accontento. Le case dove ho vissuto? Mi ricordo il pianoforte sempre in sottofondo, e poi tanti profumi. Perché con noi viveva anche mia nonna e le sue merende dalla cucina invadevano tutte le stanze. Se penso a quegli odori, mi commuovo. No, non mi commuovo. Però erano odori inconfondibili che nascevano dalle cinque di pomeriggio. Una cosa sì ve la chiederei, non datemi una casa con corridoio lungo e stretto. Non lo sopporto. I corridoi lunghi mi fanno proprio paura. In una casa ce l’avevamo ed ero terrorizzata. E poi è uno spreco di spazio il corridoio, no? Preferirei utilizzare tutto lo spazio per la mia vita e il mio lavoro. Ah, una volta s’è provato a andare a vivere in campagna. Mio padre era diventato affetto da sindrome da foglio rosa. A vivere in città, se non hai il garage o il posto macchina, ti scontri con l’incubo della multa quotidiana. Lui s’era stufato e in uno slancio aveva convinto tutti. Basta, si va a stare in campagna. Mi ricordo questa casa di tre piani, un giardino enorme, il camino. Ma l’unico contento era il cane. Io lottavo ogni giorno con gli insetti. Un giorno mio babbo aprì la finestra, guardò il verde sconfinato fuori e chiamando mia mamma esclamò «Ma che cazzo ci siamo venuti a fare?». S’è fatto baracche e burattini e siamo tornati in città. Però ecco, io ora ho proprio bisogno di un posto mio. Io scrivo e canto canzoni, ho bisogno di un covo mio per scrivere e per creare. Pensate che quando provavo a registrare c’era la mamma che urlava «venite a tavola» o quando andava bene il «bau» profondo di Greta come ciliegina finale. Io penso che la casa sia fondamentale per un artista. Se crei in casa i muri ti devono ispirare, abbracciare, ma senza soffocare. Sì, ho scritto un po’ di canzoni. All’inizio lo facevo per gioco, poi però è diventata un’energia, un flusso, un progetto interessante. Mi metto lì con la chitarra o al pianoforte, poi torno a scrivere. Spesso dietro mi porto un blocchetto. So che i grandi temi che si affrontano nelle canzoni sono sempre gli stessi, ma è il modo di raccontarli che cambia. In un mio testo parlo dei colori primari, si intitola proprio così, colori primari. Cioè bisogna tornare alle cose basilari, alla semplicità. Ecco, la cosa più difficile è semplificare, devi asciugare il testo, lavorarci ancora. Ho partecipato a dei concorsi. Una volta sono stata a un festival dove per una settimana stavamo in albergo a scrivere testi. Era una situazione euforica, perché era bello confrontarsi e anche avere il contatto con varie etichette e case discografiche. Sì, lo so che qua sarò sola con la mia casetta, ma infatti ho bisogno anche di questo. So anche che ci staranno un sacco di persone che mi guarderanno. E sì, so anche che dovrò competere, sono pronta, non ho paura. Ho anche registrato un cd mio grazie a un produttore romano. Con quello ho fatto un po’ di serate dal vivo. Ve lo lascio così potete ascoltarlo. Entro quando date una risposta?

Silvia fu scelta. Non ci poteva credere. Era euforica e terrorizzata. Quando vide l’appartamento se ne innamorò. Luminoso, con soppalco e con una stanzina a tetto con tanto di lucernario fatta a posta per costruirci il suo nido per registrare. Non era molto grande, ma all’ultimo piano di una bella palazzina, faceva al caso suo per non disturbare i vicini. Le telecamere furono posizionate accuratamente. Silvia entrò presto nel gioco. Si sentiva sempre nervosa ed eccitata. Eppure doveva darsi da fare, scrivere, comporre, difendere quella casa, la sua indipendenza come giovane donna e come artista. Passavano i mesi e puntata dopo puntata, resisteva e andava avanti. Poi una sera sentì più forte il rumore degli applausi. Quella voce che conosceva bene. Bentornati amici in studio, aprite il collegamento con la casa dell’artista di Firenze, grazie. Silvia! Siamo arrivati al verdetto finale. Il pubblico ha deciso che…sei stata eliminata.

Silvia si sveglia di soprassalto. Sente i gomiti alzarsi di scatto dalla scrivania e le fanno male, insieme alle scapole. Sente la fronte madida. Cerca un fazzoletto, se lo passa lungo la faccia. Il computer è ancora acceso. Guarda i fogli sgualciti su cui s’è addormentata. Comincia a capire di aver sognato. Non c’è nessuna casa d’artista, nessun reality, nessuna eliminazione. La casa c’è, è tutta intorno a lei e l’ha ottenuta con un bando regionale che non lede la sua privacy e per tre anni il contributo non glielo toglie nessuno. Sorride. Prende la bottiglia d’acqua sulla scrivania e ne beve un po’. Beve a piccoli sorsi e girando sulla sedia con le ruote, si guarda intorno. Il suo piccolo studio di registrazione, dentro casa sua. Si sofferma sul microfono e poi in basso sulle chitarre appoggiate. Aveva fatto tardi a provare e riprovare fra testo e melodia. Prende il suo cd fra le mani e ride. È uno scherzo vendicativo, questo sogno, pensa. In copertina c’è proprio lei, Silvia, dietro a un ciack, che sta seduta. Sullo sfondo quell’imbottitura che serve per attutire il rumore, dipinta di rosso, proprio come un confessionale del Grande Fratello. Con i suoi amici attori, avevano ricreato il confessionale per girare un video a presa in giro del reality e da quando è tornata a stare da sola in quella casa all’ultimo piano di una palazzina di Firenze, ha voluto rivestire le pareti proprio con quella specie di gommapiuma a forma di contenitore per uova. Sul CD, sotto alla foto il titolo, Irreality Show. Cerca nel computer il brano Irreality. Lo mette.

Ma la realtà si vive qua, a riflettori spenti, ognuno sopra un’isola
in una dimensione che senti sotto i denti
anche se resta anonima.

Sente il campanello suonare. È il postino. Non sarebbe necessario andare giù, tanto la mette nella cassetta delle lettere. Ma come fa a resistere? Le va di scendere senza neanche prendere l’ascensore, tenendo il corrimano e saltando gli scalini due per volta, come faceva da piccina. Non è una lettera. È una busta molto più grande. Per la prima volta legge il suo nome e cognome sopra a quel nuovo indirizzo. Nell’ascensore apre la busta e legge. Un contratto per scrivere canzoni da un’importante major e non è né un sogno né uno scherzo. È reale come il il suo lavoro, come la sua casa, come la sua voce.

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