Il progetto della Regione Toscana per l’autonomia dei giovani

Cos’è lo youth work? Come è cambiato negli ultimi anni? Chi è lo youth worker e quali obiettivi dovrebbe perseguire? A queste domande ci ha risposto Jonas Agdur, svedese, esperienza ultra ventennale nel campo delle politiche giovanili, prima come operatore giovanile nei sobborghi di Stoccolma, poi, a livello europeo, come Presidente dell’InterCity Youth – la rete europea dei dipartimenti locali per il lavoro giovanile -, ruolo che ricopre dal 2014.


Nazionalità svedese, ma parli anche italiano, impegnato da molti anni nel campo delle politiche giovanili, ci vuoi raccontare la tua storia?
La mia storia, nell’ambito dello youth work, inizia nel 1980 quando, dopo aver studiato politica e cultura all’Università, ho trovato impiego, a livello locale, come youth worker in un centro giovanile nella periferia di Stoccolma. A quel tempo, il ruolo dello youth worker era quello di organizzare attività creative per i giovani che iniziai presto a trovare noioso.
Spesso, per prendere parte alle differenti attività, come ad esempio i campeggi, erano previste anche delle spese, che ritenevo controproducenti e sbagliate, poiché impedivano ai giovani più bisognosi di partecipare. Quindi, in conflitto con le tradizioni consolidate e con alcuni dei miei colleghi, ho avviato una ONG giovanile, all’interno del centro, che ha iniziato a lavorare per raccogliere fondi per finanziare le diverse attività, come i campeggi stessi e le varie escursioni.
Uno dei modi fu quello di organizzare lotterie, gestire il caffè del centro giovanile ed aprirlo anche ad altri gruppi, ad esempio ai pensionati. In verità il gruppo, composto da circa 30/40 giovani, iniziò quasi subito a gestire più o meno l’intero centro giovanile, contribuendo a creare un’atmosfera più stimolante, viva e aperta a tutti, come mai era stato fatto prima.
Questa esperienza, ossia lavorare insieme ai giovani per una causa comune che percepivano come importante, credendo nelle loro capacità e supportandoli a sviluppare ulteriormente le proprie competenze, ha fortemente influenzato il mio punto di vista sullo youth work, su quali obiettivi dovebbre avere e su come dovrebbe essere organizzato per poterli raggiungere.

Sono rimasto in quella periferia per 18 anni, dirigendo sia il centro giovanile che lavorando come youth worker. Allora, così come oggi, era una delle periferie più problematiche in Svezia. Quando sono andato via, il 93% della popolazione giovanile non aveva origini europee, il tasso di disoccupazione era del 40% e il 20% della popolazione se ne andava ogni anno, appena ne aveva la possibilità. Ad ogni modo mi piaceva lavorare lì, i giovani, che avevo avuto modo di incontrare, erano pieni di energia positiva, creatività e avevano voglia di migliorare sia loro stessi che la società in cui vivevano.

Nel 1998 mi trasferii a Gothenburg (dove ero cresciuto da piccolo), insieme alla mia famiglia. Trovai lavoro come responsabile della cultura e delle attività per il tempo libero in un piccolo comune (30.000 abitanti), piuttosto rurale, fuori Gothenburg. Da lavorare quindi in un posto multiculturale, privo di una “effettiva periferia”, mi trovai invece a lavorare in un comune quasi esclusivamente abitato da svedesi, abbastanza ricco, con una comunità rurale. Qualcuno iniziò a chiedermi come avrei gestito questa situazione abbastanza diversa rispetto alla precedente. Realizzai presto, senza sorprendermi di ciò, che lavorare con i giovani, se fatto nel modo giusto, è la stessa cosa ovunque tu sia. I bisogni più concreti e gli interessi possono variare ovviamente, ma le necessità di base e il modo con cui approcciarsi con loro resta lo stesso: conoscere cosa li coinvolge, supportarli, credere nelle loro capacità, permettere loro di partecipare attivamente, il resto arriva….
Rimasi in questo Comune per due anni, prima di ricoprire il ruolo di responsabile per il settore giovanile in un Comune più grande (60.000 abitanti), parte dell’area metropolitana di Gothenburg. Fu la prima volta in cui ricoprivo un ruolo e una posizione, in grado di apportare ulteriori cambiamenti strutturali, sia nel modo con cui si pensava lo youth work, sia negli obiettivi che doveva raggiungere.
Questo mi diede la possibilità di affrontare i problemi che avevo riscontrato quando iniziai il lavoro come youth worker, come la totale mancanza di chiarezza e di articolate idee su cosa rappresenti lo youth work, su quali siano gli orientamenti politici al riguardo e quali siano infine gli obiettivi misurabili che deve conseguire.

Vista la tua esperienza ultra decennale nel campo delle politiche giovanili, ci puoi dire, a parer tuo, come è cambiato il panorama negli ultimi anni per coloro che lavorano con e per i giovani? Quali sono oggi le difficoltà che incontrano principalmente gli operatori giovanili rispetto al passato? Quali gli obiettivi da raggiungere?
Ho lavorato 20 anni nell’ambito dello youth work, senza avere una guida politica chiara e coerente. Ho avuto modo di confrontarmi con molte idee diverse su cosa sia e su cosa dovesse essere lo youth work, ho conosciuto youth worker, capi di dipartimenti e politici.
Ciascuno con la propria idea che andava dalla prevenzione dell’abuso di droghe all’attuazione di attività di svago per i ragazzi, nell’ordine di toglierli dalle strade, nonché agire come “psicologi” e insegnanti di diverse skills, al fine di promuovere lo sviluppo psico-sociale dei giovani, mediante progetti basati sulla partecipazione.
Questo in genere comporta (e ha comportato) che in Svezia lo youth worker abbia un profilo basso, scarse risorse ed è vittima di idee distorte su quello che dovrebbe fare, spesso provenienti da persone che hanno poca o non hanno del tutto conoscenza della qualità che lo youth work potrebbe portare tra i giovani e nella società.

La prima cosa che feci, una volta ricoperta la nuova posizione di responsabile per il settore giovanile, fu quella di riunire tutto il personale, i capi unità e gli youth worker, e chiedere loro quali fossero le questioni base su cui dovevamo discutere per trovare risposta insieme:
1) quali sono i bisogni dei giovani a cui il nostro lavoro dovrebbe rispondere? (“Perché sei a lavoro? Quali dovrebbero essere i nostri obiettivi?)
2) Quali sono i giovani di cui stiamo parlando? (Come dovrebbe essere composto il nostro gruppo target?)
3) Quali sono i costi rilevanti da mettere in relazione alla qualità? (Abbiamo bisogno di consegnare “la cosa giusta”, al “giusto cliente”, al “giusto prezzo” se dovessimo parlare in termini di risorse).
4) Come dovremmo dare seguito a questo? (Quali sono le conoscenze necessarie per sviluppare il nostro lavoro e come mostrare al mondo cosa possiamo ottenere mediante lo youth work?).

Queste discussioni furono inserite in un documento politico incentrato sulla partecipazione e l’apprendimento dei giovani, sostenendo che il processo di partecipazione e l’apprendimento che ne deriva è l’obiettivo principale del nostro lavoro, ovvero il processo è il risultato. Collegato a questo, avevamo anche sviluppato un sistema per il follow-up. Il sistema era basato su questionari per i giovani che partecipavano allo youth work, ponendoli domande, in sostanza, sull’influenza, sulla partecipazione e sull’apprendimento.
Negli stessi questionari avevamo anche posto domande di base su età, genere, situazione sociale, ecc., per valutare se eravamo in grado di raggiungere il nostro gruppo target. Avevamo anche sviluppato regole base relative ai costi per partecipante e alle ore di attività. (Oggi questi elementi sono stati combinati in una piattaforma web per la documentazione e il follow-up chiamata The Logbook.)

Guardare allo youth work in questo modo e avere un follow-up, essere in grado di dimostrare ai politici quello che si è realizzato con obiettivi chiari, si è rivelato un successo. Sia gli youth worker che i giovani ne erano contenti e la risposta politica fu molto positiva. Molti comuni svedesi hanno avuto problemi economici e ciò ha portato spesso a tagli nello youth work (che non ha alcun supporto legale in Svezia). Nel nostro comune, al contrario, avevamo ottenuto più risorse a sostegno del lavoro con i giovani e i nostri decisori politici sostenevano che si trattasse di un investimento e non di un costo.
Questo naturalmente suscitò l’interesse di alcuni miei colleghi nei comuni limitrofi, i quali mi chiesero se potessi eseguire lo stesso tipo di processo, relativo agli obiettivi e al follow-up, anche nelle loro organizzazioni.
Ovviamente accettai e il risultato fu più o meno lo stesso di quello ottenuto nel mio Comune. Ci siamo resi conto che alcuni comuni condividevano gli stessi obiettivi e lo stesso sistema di follow-up, quindi il passo successivo naturalmente fu quello di iniziare a collaborare per arrivare a nuovi sviluppi. Quindi, nel 2005, abbiamo fondato la rete KEKS! L’obiettivo era rafforzare il lavoro con i giovani, attraverso lo sviluppo di competenze, con nuovi metodi e strumenti, e individuare anche nuovi modi di organizzare e svolgere il lavoro con i giovani. L’intento era di orientarci non solo verso gli youth worker, ma anche verso i responsabili dello youth work e verso i politici, con un approccio olistico e tenendo conto dell’intero “youth work sistem”.

Questo approccio iniziò presto a dimostrare di funzionare anche negli altri comuni e KEKS iniziò a crescere piuttosto rapidamente.
Nel corso degli anni abbiamo tenuto molte conferenze, corsi e formazioni. Abbiamo anche sviluppato varie linee guida e manuali per promuovere lo youth work. Oggi KEKS è composta da 60 dipartimenti locali svedesi per lo youth work, 3 sloveni e 2 finlandesi ed è in costante crescita (ancora non ci sono membri italiani…). Inoltre, The Logbook viene utilizzata non solo dai nostri membri, ma anche in molti altri comuni e organizzazioni, ad esempio in Finlandia e Irlanda.
Il lavoro di KEKS ha suscitato interesse, sia a livello nazionale che europeo. Nel 2013 ebbi l’opportunità di presiedere un gruppo di esperti dell’UE sui sistemi di qualità dello youth work. Prima di allora, avevo tenuto altre conferenze sul lavoro con i giovani all’estero, ma quello fu l’inizio per me di una “carriera europea” che mi ha dato grandi possibilità, sia di contribuire che di imparare dai colleghi di tutta Europa. Dal 2013 fino ad oggi, c’è stato un interesse politico e un forte impulso a livello europeo per lo youth work.

Dal 2014 sei Presidente dell’InterCity Youth – la rete europea dei dipartimenti locali per il lavoro giovanile -, ci puoi dire cos’è e di cosa si occupa?
Per permettere di partecipare e dare voce ai Comuni nelle varie discussioni politiche sullo youth work, nel 2014 è stata istituita InterCity Youth – la rete europea dei dipartimenti locali per il lavoro giovanile -, di cui sono Presidente. Oltre a partecipare allo sviluppo delle politiche europee, l’obiettivo della rete è migliorare la qualità dello youth work attraverso, principalmente, l’apprendimento tra pari, conferenze annuali, progetti comuni ed elaborazione di documenti. Il mio ruolo è quello di rappresentare la rete nei vari forum e gruppi di lavoro, dove questi documenti politici vengono discussi e sviluppati.
Uno di questi gruppi è stato quello che ha redatto la Raccomandazione del Consiglio d’Europa sullo youth work. È stata adottata a maggio 2017 ed è il più importante documento, approvato politicamente, sullo youth work che abbiamo ad oggi in Europa. Se non ne avete fatto parte, fatelo! È di grande rilevanza per lo youth work a livello locale e costituisce uno strumento eccellente per la promozione del lavoro con i giovani.

Sempre a proposito di documenti di grande rilevanza per lo youth work, qualche mese fa è stata pubblicata la “Carta Europea sull’animazione socioeducativa a livello locale”, presentata durante il terzo evento del progetto Europe Goes Local, con l’obiettivo di dare un riconoscimento e uno sviluppo al settore di chi si occupa dell’animazione socioeducativa in Europa. Ci vuoi raccontare come si è arrivati alla pubblicazione della Carta e perché è così importante?
È stata redatta di recente. Questa, a differenza della Raccomandazione del Consiglio d’Europa sullo youth work, non è un documento politico, ma mira a trasformare i principali documenti politici europei sul tema, sia dell’UE che del Consiglio d’Europa, in linee guida molto concrete e pratiche su ciò che è necessario per stabilire e mantenere la qualità dello youth work a livello locale.
La Carta Europea sull’animazione socioeducativa a livello locale contiene 36 punti che, nel complesso, elencano tutte le cose che devono essere discusse e decise, al fine di garantire che il lavoro con i giovani possa raggiungere il suo pieno sviluppo.
La Carta è stata redatta, grazie ad un processo di consultazione a livello europeo, che ha coinvolto vari stakeholders, tra cui governi, comuni, ONG, organizzazioni e consigli per i giovani, organizzazioni ombrello e molti altri. Si basa quindi sulle conoscenze comuni europee su cosa costituisce un lavoro di qualità per i giovani e riguarda tutti, dai responsabili politici agli youth worker. Chiunque quindi sia impegnato nel lavoro con i giovani e voglia migliorarlo.
L’importanza della Carta come strumento, in grado di trasformare la politica in pratica, a mio avviso non può essere sopravvalutata. Deve essere accompagnata al più presto da un “kit per il cambiamento”, basato sul web, che contenga materiale, volto a ispirare e sostenere discussioni di respiro locale sullo youth work e sul suo sviluppo.

La Regione Toscana, con Giovanisì, è intervenuta in modo consistente a favore delle giovani generazioni, sperimentando un sistema di politiche integrate e trasversali a loro dedicate. Per la tua esperienza, ci sono altre realtà europee (regionali o nazionali) che promuovono progetti specificatamente rivolti ai giovani, con un approccio simile? Perché è così importante parlarne a livello europeo?
Perché mi sono sempre impegnato nei processi europei di sviluppo politico sul tema? La risposta è che le principali sfide che ho dovuto affrontare come youth worker e anche come capo di dipartimento sono ancora qui! In molti Paesi, così come in molti Comuni, permane la mancanza di una chiara e coerente politica in grado di guidare lo youth work e che al contempo gli dia il riconoscimento che merita.
Ho lavorato sia alla Raccomandazione che alla Carta e so, grazie alla esperienza maturata in KEKS, quale differenza possa fare l’avere una indicazione politica chiara incentrata sulla partecipazione e l’apprendimento dei giovani a livello locale. Credo sia più facile promuovere una politica così impostata, se c’è il sostegno e il supporto a livello europeo.
Sicuramente ci sono stati molti sviluppi pratici, rispetto a quando ho iniziato come youth worker, ma ci sono state al contempo anche molte battute d’arresto in termini di risorse allocate e di riconoscimento. La posizione dello youth work a livello locale resta molto spesso fragile. Una politica decisa sullo youth work è il pre-requisito fondamentale per ulteriori sviluppi sostenibili.
Un altro aspetto importante dello sviluppo, a livello europeo, di una politica più chiara e stringente sullo youth work è quello di potenziare la possibilità per l’operatore giovanile di avere un ruolo riconosciuto come gli altri attori del settore (scuole e servizi sociali).

In molti Paesi e Regioni, come in Regione Toscana con Giovanisì, ci sono tentativi, più o meno riusciti, di creare una politica giovanile integrata e trasversale. Affinché questo possa avere successo, è importante che vi sia una chiara politica sullo youth work. Altrimenti si corre il rischio che lo youth work “perda” l’importante contributo che fornisce allo sviluppo personale e sociale dei giovani, che sia oscurato dagli attori più grandi e che sia visto solo come un’attività complementare, piuttosto che un ambito vero e proprio. L’importanza di questo “doppio approccio”, una politica quindi trasversale e specifica, è considerato come uno dei principi fondamentali della nuova strategia europea 2019-2027.

Questa è la mia storia nel mondo dello youth work! Spero che l’abbiate trovata interessante e di ispirazione. E, chissà, forse ci incontreremo da qualche parte in Italia così potrò ascoltare le vostre storie e discutere insieme sullo youth work. Spero sia un arrivederci!

 

Intervista e traduzione a cura dell’Area Europa dell’Ufficio Giovanisì
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