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Il mondo tutto intero

Stefania - Studio e Formazione

Il mondo tutto intero, oggi, per Stefania, sta sulla soglia che separa la Facoltà di Economia da piazza San Francesco: alle spalle, l’ennesimo pomeriggio di seminario e di studi e di appunti e cervello, metodo, pianificazioni; davanti, le corse e gli schiamazzi dei bambini che giocano, Siena che respira, il sole ancora forte perché è già primavera.

Il mondo tutto intero sta nei passi dei turisti, nelle buste e nelle videocamere che penzolano dalle loro mani, in Piazza del Campo e poi oltre, nelle stelle infinite che fanno da ombrello, un gelato con amici e colleghi di corso, un pensiero per la persona amata, in questo momento distante.

Il mondo tutto intero. Che un bel giorno è comparso nella vita di Stefania e con gli anni è diventato la sua vocazione, tanto che adesso sembra lei stessa una finestra su culture diverse, luoghi, pianeti lontani. Di certo c’è il mondo intero in ciò che ha studiato finora e nella sua specializzazione; venticinque anni, laureata in Economia dello Sviluppo, ha scelto un Dottorato di ricerca in Economia Politica. Tema, Food & Fuel, a indagare la relazione tra il costo del petrolio e i biocarburanti; a vedere come, dove, quanto, la produzione di carburanti naturali fa aumentare il prezzo di materie prime come mais e canna da zucchero, soia, frumento: un fenomeno globale, con forti impatti sulla povertà e sugli aspetti sociali dei popoli. Dottorato che si fa tutto in lingua inglese, quindi, dai testi che studia alla tesi con cui lo chiuderà; come in inglese sono i suoi sogni, ormai, come in inglese è un po’ tutta la sua vita, fin dalle prime parole scambiate la mattina.

Perché c’è il mondo anche nel posto in cui si sveglia, Collegio Santa Chiara, accanto alla stupenda basilica di Santa Maria dei Servi; divide la stanza con una ragazza palestinese ma già preparando la colazione incrocia un turco, una georgiana, una macedone e una cinese perché qua, appunto, alloggiano studenti provenienti da tutto il mondo. La cucina è ovviamente internazionale, ieri cena con moussaka e domani couscous. Il piacere del caffè, invece, rigorosamente equosolidale, è stato Stefania a inculcarlo agli altri: all’inizio storcono la bocca, tutti, ma quando giunge il momento di tornare a casa, ognuno si compra la moka. È un bel gruppo. E sono molti i momenti condivisi. Nel pomeriggio si raggiunge la facoltà, ligi al dovere, ma la sera non è raro che ci scappi una festa. Per non parlare delle gite del weekend, da Montepulciano a Volterra, di certo le mete ambite non mancano. Tutto ciò è possibile grazie a una borsa di studio, vinta e meritata, che adesso restituisce un sostegno vero: mille euro al mese più relativi versamenti Inps, per tre anni, che rendono possibile vivere degnamente lontano da casa, e ogni tanto tornarci.

Perché tutto il mondo di Stefania parte con lei da Garessio, paese di 3600 anime in provincia di Cuneo, sulle Alpi liguri, alta valle del fiume Tanaro, ai più conosciuto per l’acqua San Bernardo e per quelle bellissime piste su cui si scia guardando il mare; oggi, dei sei alberghi esistenti, ne funzionerà giusto uno, tutt’al più riapriranno le terme, ma di certo quel posto non sarà mai il crocevia che Stefania pretendeva per il suo futuro. Frequentò il Liceo Scientifico a Mondovì, poi, quando fu il momento di scegliere l’Università, la stragrande maggioranza dei suoi compagni scelse Torino, qualcun altro Genova; lei vide a Firenze la sua possibilità, alla Facoltà di Economia che proponeva un corso di Sviluppo economico e cooperazione internazionale. Si aprì un periodo di confronto e riflessioni, in famiglia, ma presto capirono che Stefania avrebbe dovuto comunque trasferirsi, tanto valeva puntare sulla strada più affascinante. E il mondo diventò Firenze, quindi, il collegio al Romito e la facoltà di Novoli, le passeggiate in centro, le nuove amicizie; le tappe bruciate con il massimo dei voti, sempre, fino all’Erasmus di sei mesi a Reading, vicino Londra, in un college dove davvero si respirava l’aria del mondo intero.

Che poi, questa indole, Stefania la realizza anche viaggiando, per vacanza e non solo, in Francia e in Austria, in Germania, in Svizzera, in Spagna e in Portogallo, in Croazia, in Polonia, in Irlanda, in Israele e in Palestina.

Il mondo ha colori e sapori completamente diversi nel viaggio che più di tutti la segna, in Angola, nel 2010. La sua esperienza più bella. Un altro mondo. Prima devastato da trent’anni di guerra civile, poi strangolato da un regime che non riversa certo sulla popolazione i benefici dei giacimenti petroliferi e di un’economia che, almeno adesso, corre. Stefania arriva e d’acchito si estranea un po’, per motivi diversi dal previsto. Le fa impressione un malsano tentativo di occidentalizzazione che sporca tutto, per esempio a Luanda s’imbatte in certe palme di plastica monocolore impiantate al posto di quelle vere, e poi in un albero di Natale in mezzo a una rotatoria, mentre tre tizi sfilano sullo stesso ciclomotore trasportando una bombola a gas. Visioni, quasi, allucinazioni estranianti che faticano a trovare una radice. Poi si sposta a Huambo, la città in cui abita suo zio, e tutto cambia, e fa cambiare lei, perché è forse più simile a ciò che si aspettava, ma più sconvolgente, come quel mare che sta sempre di mezzo tra il dire e il fare. Non c’è energia elettrica, non c’è acqua corrente, si pesca dal pozzo e si lavano i piatti usando tre bacinelle e tanta Amuchina. Il tempo si dilata e ovunque si aspetta, sempre e chiunque, e inizialmente la cosa è insostenibile ma dopo un po’ diventa naturale. L’orologio, dopo un po’, lo metti via. Lo zio, anni fa, avviò un’attività di doposcuola con dei ragazzi che adesso sono diventati adulti, e con il poco portoghese che sa, Stefania comincia a parlare con loro e soprattutto ad ascoltarli. È tutto così diverso. Non c’è nessuna industria in questa città, neppure agricoltura; le poche persone che lavorano sono dipendenti statali, insegnanti, piccoli commercianti. Uomini semplici, problemi diversi, che fanno ridiscutere il senso della vita. Stefania si porta via un buco nel petto, un sentimento nuovo, forte e difficile da raccontare. Si piglia anche la malaria, a dire il vero, ma in forma leggera, per fortuna curata sul posto e pressoché scomparsa al rientro. Non scompare invece il mal d’Africa, la malinconia, come se testa e cuore restassero un po’ là; sogna quei posti, quelle facce, tuttora dice di non aver mai sofferto tanto di nostalgia. In qualche modo, è come se non fosse mai tornata del tutto. Ed è come se studiare, ancora, fosse anestetizzare quel dolore e provare a capire, sciogliere certi nodi e certe ingiustizie per sempre.

L’interruttore che accende quest’attenzione per il prossimo, dentro di lei, gira forse molto tempo prima, guardando un filmato che la colpì enormemente, una missione in Mato Grosso, gli occhi di quei bambini che s’infilarono nei suoi, bambina, durante una lezione di Catechismo. E più tardi un romanzo, La città della gioia di Lapierre, che certamente non si concluse leggendo l’ultima pagina. E poi ancora certi incontri, come Fabio e Maura, una giovane coppia di animatori piemontesi che conobbe sui quindici anni, bravissimi a lavorare con i ragazzi; con l’esempio e con le parole, sono stati per lei come dei secondi genitori, utili anche a superare la sua timidezza, accrescere la fiducia in se stessa.

Nel futuro c’è il mondo tutto intero e di questo è sicura, anche se oggi non può dire se viaggerà, o dove si fermerà per viverlo. Gli studi spingerebbero a lavorare nell’università, ma adesso le sembra un ambiente in cui «corri sempre ma sei sempre solo», quindi poco adatto al suo carattere. Talvolta s’immagina in organizzazioni internazionali, però a conti fatti, con tutti i difetti che imputa all’Italia, quando Stefania è andata via, ha finito sempre per rimpiangerla un po’. Ci penserà. Intanto il mondo tutto intero è Piazza del Campo, di sera, i progetti e i sogni di ragazza, quelle stelle infinite che sanno proteggerti ma anche portarti altrove.

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