L’istituto di Geomatica acquista un'immagine Terrasar-X

Sara - Studio e Formazione

Pertanto le dico: si iscriva a Geologia.
Vedrà quante metafore le verranno regalate.
(Giorgio Manganelli)

Se vuoi sapere se casa tua è soggetta a fenomeni di bradisismo puoi chiedere a Sara. Ma lo puoi fare anche per scoprire se quel pilone lì, lo stesso che da trent’anni t’osserva altezzoso ogni mattina quando sporgi il capino fuori dalla finestra, un giorno ti piomberà in salotto.

Sara ha vinto un concorso con un progetto di ricerca sulle pericolosità da frana e sui rischi idrogeologici. Il che significa molte cose. Innanzitutto che studia i terremoti, le frane, i vulcani. Seconda di poi che si muove fra i discendenti dei tromometri con la stessa spedita disinvoltura di un cacciatore di alligatori sull’estuario del Mississipi. Infine che parla una lingua oscura e sbalorditiva, di cui il termine tromometro non è che il primo, e più abbordabile, rappresentante. Una lingua così stupefacente che talvolta sconfina nel puro suono, in una nebulosa d’immagini che si dimena fra mille forme, e sembra quasi che non sia Sara a parlare, ma il membro di qualche congregazione aliena.

Prendiamo la macchina e saliamo verso Arcetri. Fuori, oltre le mura di Firenze, l’asfalto si confonde con le pietre, le pietre si mescolano col verde e le macchine lasciano spazio a orde di ragazzi urlanti che corrono sciamannando verso il trippaio di Porta Romana.

«Tu cosa fai?», domanda svoltando davanti all’Istituto d’Arte.
«Teatro… ma anche…».
«Ah, capisco…».
«E tu, invece?», domando. Ed ecco che la più semplice delle domande si trasforma in una tempesta lavica.
«Beh, mi occupo di integrazioni di interferometria…», esordisce. Ricordo qualche frase, spezzoni, come i frammenti di un dormiveglia parecchio agitato.
«Cinematismo lento… Permanent Scatterers… Tecniche di interferometria satellitare… Affioramenti rocciosi…».

Arrivati ad Arcetri, dove Sara sta portando avanti la sua borsa di studio, le chiedo delucidazioni.
«Facciamo un esempio», risponde. È una giornata di sole, e di vento. Le piante si dimenano battute da folate improvvise, i pioppi s’inchinano appena, mentre all’orizzonte la Torre del Gallo incombe pacifica sulla collina. «L’Istituto di Geomatica acquista un’immagine TerraSAR-X per osservare un fenomeno di subsidenza del delta del Llobregat, d’accordo?».

È difficilissimo essere d’accordo con qualcosa d’indecifrabile. Si può adorare o detestare. Può destar gioia o terrore. Ma essere d’accordo con un enigma, sarebbe un controsenso. È una frase bellissima. È uno scioglilingua, il manifesto di un sedicente movimento futurista colombiano, un indovinello. Sara la ripete un paio di volte.

«L’Istituto di Geomatica acquista un’immagine TerraSARX per osservare un fenomeno di subsidenza del delta del Llobregat».
«Puoi spiegare con altre parole?», tento.
«S-ì… anche se… Non ci sono altre parole», conferma.
«Con delle parole che posso capire».
«Ci provo. Nelle immagini satellitari che analizzo alcune variabili sono prese in considerazione e altre no. Le piante, mutando di ora in ora, di stagione in stagione, non sono variabili affidabili, mentre gli affioramenti rocciosi o…».

E così scopro che il cipresso non è solo un elegante cilindro dedito alla fotosintesi clorofilliana: il cipresso (e le piante in genere) sono dei soggetti a bassa riflettività. E che lassù, oltre le piccole cose imparate e viste sin da piccoli – oltre la Torre del Gallo, oltre le orse maggiori e minori, oltre i vari satelliti di Urano – volteggiano galassie antropiche. Un’intera banda di globi d’alluminio, fosforo e germanio dai nomi bizzarri: COSMO-SkyMed, Ers, TerraSAR-X. I famosi satelliti. Che sono migliaia. Galassie costruite dall’uomo per osservare l’uomo. Spedite lontano dalla terra per osservare la terra.

Sara fa questo: osserva le immagini lanciate sulla terra dallo spazio. O da un punto della terra verso un altro punto della terra. A qualche decina di metri dalla sciara del fuoco di Stromboli c’è un radar. Tramite un sofisticato processo di onde Sara misura se la sciara si è spostata. Se il vulcano si sta ingrossando. Incrocia i dati del radar con quelli di vari satelliti e li interpreta. E un lavoro simile lo svolge per la nave Costa Concordia e per la frana del Montaguto. Poi stila un bollettino da inviare ai vari enti interessati, Protezione Civile, Cnr, Regione, Guardia Costiera.

È fine febbraio. Il vento si sta alzando, la luce del sole scollina, si sposta più in giù, verso il centro di Firenze, e il freddo si alza. Decidiamo di entrare. Visto dall’alto, da un satellite per esempio, l’osservatorio astrofisico d’Arcetri, è una specie di rompicapo geometrico. Un tetris di una qualche civiltà extraterrestre fatto di quadrati, rettangoli, cupole bianche, esagoni merlati. Una basilica d’avorio piombata in mezzo al verde dei viali, al giallo stinto delle ville, al rosso dei tetti. Dentro, l’edificio è una via di mezzo fra l’ingresso di una scuola elementare all’avanguardia, il gabinetto del dottor Oscar Zoroaster Phadrig Isaac Norman Henkel Eccetera, insomma il mago di Oz, e la sala comandi di una navicella spaziale con vista su Firenze. Appena entrati ci accolgono, affabili, le cartine: cartine politiche, cartine fisiche, cartine a rilievo, cartine tematiche di ogni tipo. Svoltiamo a sinistra. In un laboratorio si susseguono vecchi sismografi impolverati, scalpelli, vasche di sedimentazione, picnometri, macigni di misteriosa provenienza, sonde, misurini, ampolle ricolme di sieri colorati. Poco distante, nell’aula dove lavora Sara con i suoi colleghi, una sfilza di computer è assiepata davanti a un telo bianco. Sara si siede. «Ti faccio vedere un’immagine dal satellite», dice picchiettando sulla tastiera. «Ecco cosa faccio. Questo è lo Stromboli», e sullo schermo appare una colata di colori, un pugno di rosso che sfuma nel blu, un fiume azzurrognolo costellato da punti gialli. Eccolo, lo Stromboli. Le immagini dei satelliti sono una specie di lastra allucinata. Il parto di un radiografo illuminato che ha deciso di dedicarsi alla pittura.

La Regione Toscana, ultimamente, ha deciso di rendere pubblici i dati di alcuni satelliti. Attraverso un programma specifico è possibile controllare se una zona è esposta a frane o se quella particolare casa, in prospettiva, rischia di avere cedimenti strutturali. Ma non tutte le immagini satellitari sono accessibili. Alcune, quelle tedesche o russe, costano svariate decine di migliaia di euro. Per questo Sara, fra qualche mese, andrà in Spagna. Dopo essersi laureata e specializzata all’Università di Scienze della Terra di Firenze, Sara ha partecipato a un concorso per un dottorato. E ha vinto una borsa di studio della Regione Toscana. Grazie a questa borsa di studio, fra poco, proseguirà la sua attività all’estero. Probabilmente all’Istituto di Geomatica di Castelldefels. Là esiste un osservatorio che le permetterà di accedere a una quantità di immagini che solo un eccentrico magnate del petrolio col vezzo della sismologia si potrebbe permettere.

A Castelldefels Sara continuerà a decifrare i segni che arrivano dai satelliti. A osservare le mappe provenienti dal cielo grazie alle quali è possibile accrescere la conoscenza che abbiamo del territorio e, soprattutto, prevedere calamità in aree con molta urbanizzazione. Imparerà a controllare nuovi strumenti e amplierà quella lingua che molti di noi non possono capire, se non tramite audaci similitudini, acrobazie e metafore, ma la cui applicazione a molti di noi serve, o servirà, in futuro.

Usciamo. Il sole è sceso a valle. Prendiamo la macchina e ci dirigiamo verso le mura e verso il sole che è sceso a valle. Il verde si dirada, le pietre lasciano spazio all’asfalto, e la luce torna a battere sui muri e i cornicioni. Dietro le colonne di Porta Romana c’è l’ombra, ma le lastre sotto l’Arco sono un’unica chiazza abbagliante. Scendiamo di macchina, stringiamo gli occhi.

«Allora: sulla riflettività ci siamo intesi. E pure sui radar a terra», chiarisco. «Puoi dirmi soltanto, prima di salutarci, il nome di qualcuno di quegli apparecchi… Così non sto a tormentarti di chiamate in questi giorni… Tipo come si chiamava… quel… quello… dai! Quello che mi avevi indicato in laboratorio… ».
«Eh, te ne ho indicati tanti».
«Sì, ma a questo ci siamo passati davanti in fretta. Non mi hai detto neanche il nome… Era poggiato su un piano di legno ».
«Il Calcimetro di Astis?».
«No, no… Il Calcimetro era una specie di bara collegata a una flebo, giusto?».
«Una cosa del genere».
«No, no, non è quello».
«L’Edometro Bishop?».
«Cosa?».
«Era tipo un robot? Un robot piccolo…».
«Un robot piccolo quanto? Di dieci anni, quanto?».
«Un robot. Alto così… più o meno…».
«No, no, più piccolo… Era un apparecchio con una parte concava… che sembrava il cappello di Tik Tok…».
«Tik Tok… quello del film?».
«Sì, sì…».
«Quello di Oz?».
«Esatto. Il secondo, il ritorno… non il primo…».
«E aveva una manovella?».
«Tik Tok?».
«No, l’apparecchio».
«Sì. Sì! Una manovella».
«Il cucchiaio di Casagrande».
«Casagrande Walter? Chi? Casagrande chi?».
«Arthur. È un apparecchio per misurare il limite di liquidità del terreno».
«Il cucchiaio di Casagrande. Lo segno. E invece… Com’è che hai detto che si chiamava l’altro… quello simile a una barca di sughero, con le vele di vetro… che sembrava una specie di stetoscopio a U, dai, quello dietro un barometro cos’era…».

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