Daniela / #fareimpresa

Morto, pelato e cotto

Daniela - Fare impresa

Folle. La prima cosa che ho pensato di Daniela quando l’ho incontrata la prima volta.
Mi sbaglio forse?

Senti un po’: allevamento di pollame a Boscona, località bellissima di Colle Val d’Elsa. Due persone e mezzo che seguono l’attività: Daniela, suo marito Bruno e il padre di lei che però ha settanta anni e giustamente vuole provare a godersi un po’ la pensione.

«Gli animali vanno puliti e nutriti tutti i giorni, non c’è pasqua né natale, non esistono ferie», mi dice Daniela.
E mica è poco, penso.

L’allevamento è storia di famiglia, avviato dal padre negli anni Ottanta e portato avanti fino ad oggi. Mi accompagna a vederlo. È una voliera enorme, dove i pennuti scorrazzano liberamente, un via vai di zampette e piume colorate, occhietti neri e tondi che ti guardano storcendo il capo con l’espressione un po’ scema, anche se il dubbio che non lo siano affatto un po’ ti viene. Starne, fagiani, pernici rosse. Si usano per la caccia, per il ripopolamento o per finire direttamente in pentola.

Caspita se è un bell’impegno, penso.
Però a Daniela non basta. C’è quel capannone in disuso, in fondo al campo. Ci voltiamo a guardarlo. Quattrocento metri quadri. Là dentro ci stanno quintali di idee.

«Tipo quali?», le chiedo.
«Intanto un impianto di macellazione. Perché gli impianti certificati sono tutti lontani, a Cortona il più vicino, e ovviamente per portare gli animali fin là devi seguire una certa procedura e adottare determinate accortezze lunghe una vita. Aprirne uno dentro la propria azienda vuol dire ammortizzare costi e tempi, rendersi autonomi».

Intuisco cosa intende ma ugualmente l’idea di aprire un impianto di macellazione mi sembra un’impresa biblica. Ho questa immagine qui: ispettori dell’igiene vestiti con tute in TNT bianche, cuffiette in testa, guanti e mascherine che si aggirano per l’impianto e scrutano, annotano su tabelle, cercano la pecca, la normativa violata, dimenticata, quella di cui non sapevi l’esistenza ma che invece è prevista. Da sudori freddi.

«E poi sull’altra ala del capannone invece vogliamo costruire una cucina».
«Come una cucina?», faccio.
«Il lavoro dell’impianto di macellazione non è più che sufficiente?».
«Visto che gli animali li abbiamo, che avremmo anche la possibilità di macellarli da soli, possiamo anche cucinarli». In Toscana si dice: morto, pelato e cotto.
«Non significa un ristorante vero, tipo aperti pranzo e cena.

Non siamo dei ristoratori. L’idea è quella di creare delle cene a tema: tipo domani sera cena a base di anatra. Chi ha voglia si prenota».
«E chi cucina?».
«Mia mamma», risponde Daniela prontamente.
Ecco, sì. Spunta anche la madre perché è questo che si intende per conduzione familiare.
«È una brava cuoca», aggiunge Bruno.
Mi portano a vedere l’interno del capannone che attualmente è vuoto. E sarà suggestione, ma mi pare di vederci già la cucina e i tavolini apparecchiati. Invece è vuoto e tutto da ristrutturare.
«Qui fuori verrà un piccolo parco giochi per i bambini, così potranno scorrazzare e divertirsi lasciando tranquilli i genitori ».

Comincio ad essere confusa.
«Impianto, cucina, allevamento. Riuscite a seguire tutto questo da soli?».

E contemporaneamente penso di consegnare il mio curriculum a Daniela. Non ho grandi esperienze in agricoltura però a venti anni ho lavorato per un apicoltore, mi occupavo della smielatura; vedi mai fosse sufficiente.
«Aspetta», dice Daniela soffocando un sorriso. «Mica è finita ».

No?
«Il nostro obiettivo è quello di far entrare in cucina solo cibi prodotti nella nostra azienda. Vedi quel pezzo di terra laggiù? Ci facciamo un orto. Poi abbiamo un altro appezzamento che da qui non si vede».

Indica a destra e a sinistra, mi gira la testa.
«Ecco laggiù ci impianteremo un po’ di olivi e così facciamo anche l’olio. Vogliamo diventare autosufficienti. E dove non arriviamo noi, ci affidiamo alle aziende vicine, come per il vino, la farina…».

Filiera cortissima, il vero chilometro zero.
«E poi», continua Daniela.
Ancora?
«Una fattoria didattica».

Idea del padre di Daniela che già in tempi non sospetti ne aveva creata una, cioè quando si dava per scontato che non fosse necessario insegnare ai bambini come fosse fatto un pollo. E invece era necessario eccome.

«Abbiamo due figli, di due e quattro anni, quindi sappiamo cosa significa. Sembra un argomento ormai scontato ma d’altra parte molti bambini continuano a credere che lo yogurt esca direttamente dalle mammelle della mucca».

Sì, diciamo che hanno un’idea molto televisiva della realtà.
Conosco anche il padre di Daniela, Silvano, un ragazzo di settanta anni che mentre osserviamo il suo allevamento mi spiega tutte le dinamiche di vita dei piumati. Per esempio lo sapevate voi che le pernici sono monogame? Quando si accompagnano a un maschio è per tutta la vita.

Mi guardo intorno, tutta quella terra che sembra inerme e invece aspetta solo di dare il meglio di sé. Ci vuole chi la comprende, chi sa rispettarla, un complotto di sinergie. «Ci vuole tanta volontà», dico a Bruno e Daniela. Daniela scuote la testa.
«Credimi, ce ne vuole molta di più per affrontare la burocrazia italiana».

Anche questa l’ho già sentita.
«Giri come una trottola per gli uffici, pratiche su pratiche, alcune che manco servivano. Butti via tanto di quel tempo, e non puoi fare a meno di pensare che lo hai sottratto alla tua famiglia. Ti fanno passare la voglia, sai?». Guardo Bruno e lui con gli occhi mi indica Daniela e dice sottovoce:
«E invece è capa tosta. Ha una volontà incredibile».
«Molte persone, magari anche più ambiziose di me», continua Daniela, «davanti al muro burocratico, mollano stremate. Poi però allo stesso tempo quella stessa burocrazia ti dà l’opportunità di accedere al finanziamento del progetto Giovanisì. È un bel contributo, ci aiuterà a pagare la ristrutturazione del capannone. Se non avessi potuto contare su quello, chissà…».

Quindi da una parte la burocrazia che ti mortifica, dall’altra che ti aiuta. È una contraddizione. Fa parte del nostro Paese.

La vera contraddizione però è questa: Daniela ha quasi quaranta anni, Bruno cinquanta. E senza stare a dire che non li dimostrano, cosa che per altro è vera, viene da chiedersi da dove sbuca questa energia che è tipica dei ventenni. La voglia di fare, di costruire nonostante tutto giochi contro.

È follia. Ho ragione o no? Altrimenti cos’altro può essere? Insomma, l’Italia è caduta in una crisi economica che oltretutto sfianca anche psicologicamente. Pesa sulle spalle degli italiani ancora prima di toccarne le tasche. Ti suggerisce di non sperare, di non immaginare un futuro per la propria attività perché si corre seriamente il rischio di ritrovarsi con un pugno di mosche in mano.

Daniela mi dà ragione ma ribatte.
«Lo so che penserai che il mio discorso è desueto, ma se faccio tutto questo è perché voglio lasciare qualcosa ai miei figli».

Discorso rispettabilissimo, altroché. Quindi i figli sono l’energia, lo spunto alla resistenza anche quando hai tutto in ballo.

Veramente folle, dunque? Forse meglio dire tenace. È una battaglia, ma chi la dura la vince. E noi facciamo tutti il tifo per Daniela.

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