Erika / #giovanisi+

La fotografa, la comunità cinese... e i mandarini

Erika - Giovanisi+

Fotografare significa anche approcciarsi e conoscere realtà nuove e complesse. Erika è una giovane fotografa residente in toscana che ha partecipato al progetto “La Via della Cina”, realizzato dallo studio Dry Photo Arte Contemporanea di Prato, uno dei vincitori del bando “Toscanacontemporanea2018”, promosso dalla Regione Toscana nell’ambito di Giovanisì (macroarea: Giovanisì +)

Come sei venuta a conoscenza del progetto “La Via della Cina”, realizzato da Dry Photo Arte Contemporanea di Prato e finanziato dalla Regione Toscana nell’ambito di Giovanisì attraverso il bando “Toscanacontemporanea2018”?

Ne sono venuta a conoscenza sul web, tramite Facebook. Mi sembrava una bella opportunità, e il progetto mi interessava per il tema scelto e l’opportunità di confrontarmi, da un punto di vista fotografico, con il macrotema della Cina e dell’immigrazione cinese in Italia.

Attraverso il progetto “La Via della Cina” è stato chiesto a 4 giovani fotografi residenti in toscana, tra i quali tu, di raccontare la città di Prato. Ci puoi descrivere la tua esperienza?

Ancora prima di fare il sopralluogo presso il Macrolotto 0, la mia idea era quella di concentrarmi su tema specifico, il lavoro, e documentare, da questo punto di vista, la vita del quartiere. Ho capito solo successivamente, quando ho visitato il quartiere, che non era quello che cercavo. Sentivo che l’ambiente intorno a me era “respingente”. Mi avvicinavo a quel luogo per la prima volta, e cercavo di interagire con le persone, però mi rendevo conto che c’era come un muro fra me e la realtà e le persone che cercavo di raccontare. Mi sono resa conto che gli immigrati cinesi non volevano essere fotografati, e che quindi dovevo fare qualcosa per avvicinarli. Così ho deciso di condurre una specie di esperimento. Sono entrata in un supermercato gestito da cittadini di origine cinese e ho comprato una cesta di mandarini, frutti che condividono il loro nome con quello dell’idioma più parlato in territorio cinese, il mandarino appunto. Ho cominciato così ad andare in giro per il Macrolotto disseminando i mandarini acquistati.

Erika Pellicci, “Senza Titolo”, fotografia realizzata nell’ambito del progetto “La Via della Cina”

La mia strana azione ha da subito catturato l’attenzione degli abitanti del quartiere, i quali hanno cominciato ad avvicinarsi a me, a scattarmi foto, incuriositi da ciò che stavo facendo. È stata una specie di lavoro performativo, un gioco, attraverso il quale sono riuscita però a comunicare con le persone del luogo. Questo credo sia l’aspetto più importante del mio progetto. In fin dei conti, non volevo solo fotografare la realtà che mi circondava, non ero interessata alla fotografia in se stessa, ma alle persone con le quali entravo in contatto, con le quali stabilivo un legame e che, in ultima istanza, immortalavo nelle mie fotografie. Con tale gioco ho cercato di abbattere la barriera linguistica. Le mie foto sono la traccia dell’azione che ho compiuto all’interno del Macrolotto.

Non hai comunque solo realizzato fotografie durante la realizzazione del progetto, giusto?

Sì, in realtà il mio lavoro è stato duplice. Da una parte ho prodotto una serie di immagini che sono confluite nel progetto, dall’altra invece, sono stata catturata dalla cultura cinese a tal punto da realizzare anche un video – con il contributo dei giovani studenti cinesi in alternanza scuola-lavoro che ci accompagnavano – sulla mora cinese.

Partecipare al progetto mi sembrava un’ottima opportunità, e mi interessava particolarmente il tema scelto: la Cina e l’immigrazione cinese in Italia

Si tratta di un video in loop: il dettaglio di due mani occupate nel celebre gioco. Nelle mie intenzioni, il video, pur descrivendo un’azione inerente a un gioco, diviene anche la rappresentazione dello spazio del Macrolotto, un territorio in via di sviluppo che cambia continuamente ma il cui sviluppo è allo stesso tempo prevedibile e imprevedibile.

Parlaci del tuo background: che studi hai fatto, di cosa ti occupi adesso e da cosa nasce la tua passione per la fotografia?

Alle scuole superiori ho studiato grafica pubblicitaria, ma già in quegli anni mi appassionai alla fotografia, grazie anche al fatto che a scuola avevamo un laboratorio con una camera oscura. Dopo le superiori ho frequentato l’Accademia di Belle Arti a Firenze, dove ho studiato pittura, ma mi sono laureata al triennio con una tesi dedicata alla fotografia. Attualmente invece sto frequentando il biennio magistrale, in fotografia, all’Accademia di Belle Arti di Bologna.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Mi piacerebbe continuare a lavorare sul tema della Cina, ma ho anche altri progetti in via di sviluppo. Devo premettere una cosa, però: la fotografia è un medium che uso, che mi affascina, ma in realtà io non mi sento propriamente una fotografa. Desidero, infatti, utilizzare in futuro altre forme artistiche come la performance e la musica.

Intervista realizzata il 18 gennaio 2019.

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