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Punta alla Luna, male che vada atterrerai tra le stelle

Scritto e pubblicato da Claudia
Claudia - Servizio civile

Eravamo in gita a Pisa, quando, passeggiando verso Piazza dei Miracoli, chiesi al mio prof di lettere “Ma secondo lei, è possibile davvero fare il giornalista?” Lui mi guardò e, conoscendomi, rispose andando subito al sodo “Claudia, tentare non nuoce. Tra poco andiamo in vacanza… La Nazione ha sede in Piazza Don Minzoni. Ti presenti e chiedi se hanno bisogno di una segretaria, di una collaboratrice, di una volontaria che ha voglia di imparare dall’ambiente giornalistico”.

Io non feci discorsi: qualche giorno dopo presi la Sita che da casa mia portava in centro e suonai il campanello  della redazione. Mentre salivo le scale sentivo il cuore che mi pulsava in gola e uno strano pensiero mi accompagnò per tutta la salita attraverso quegli scalini contorti fino all’ufficio del direttore; pensavo “eppure sento che oggi è il giorno in cui cambia la mia vita”. Chiesi al direttore se avesse bisogno di una segretaria o di un aiuto, come mi aveva suggerito il prof. Ma mi spinsi oltre, gli dissi che amavo scrivere e che non ero brava in matematica, gli dissi anche che avrei potuto, volendo, passare l’estate a mettere a posto le carte degli uffici,  o a portare caffè, pur di stare a contatto con l’ambiente giornalistico. Il direttore, forse mosso a simpatia dal mio modo di fare, mi disse che sì, in effetti gli uffici erano molto incasinati, ma a lui piacevano così, “e il caffè ci piace caldo, lo prendiamo al bar qui sotto”. Però mi suggerì di uscire, guardarmi intorno e scrivere un pezzo per vedere se era possibile instaurare una qualche forma di collaborazione. Il giorno dopo gli portai un articolo di cronaca e lui mi fece tornare a casa con un fotografo che, sotto mia indicazione, venne fino al mio paesino per immortalare i luoghi di cui il mio articolo parlava. Il giorno dopo ancora, con alcune modifiche, il mio primo articolo era a pagina intera nell’inserto locale de La Nazione. Con tanto di fotografia e firma. Avevo 16 anni e quella fu la mia prima estate di lavoro.

Dopo la maturità scelsi la facoltà di lettere e per mantenermi l’università inizia a lavorare, oltre che al ristorante dei miei genitori, anche in un pub frequentato dai ragazzi della mia zona. Lavoravo due volte alla settimana in sala e il mio compito principale era pulire i tavolini, fuori e dentro, e prendere le ordinazioni. Non era un compito difficile e lavorando molto velocemente riuscivo anche a scambiare due chiacchiere con i clienti e soprattutto con la cucina. Era a quella che puntavo. La cucina era lo step “da fighi” all’interno del pub, mentre, dietro al bancone a fare cocktail, ci stavano solo i titolari. In un anno e mezzo passai alla tanto agognata cucina, ma non ci rimasi a lungo perché ben presto mi ritrovai dietro il bancone a preparare mojito e caipirinha.

Dopo ancora un po’ di tempo i miei decisero di fare un investimento nel nostro paese e continuando gli studi, fui costretta a lasciare il lavoro al pub per aiutarli al bar che stavano aprendo. Il luogo non era dei più semplici, ma insieme ai miei genitori riuscimmo a creare un piccolo giro di persone che venivano a trovarci a si fermavano a parlare con noi. Intorno a quel bar, al quale mi affezionai con tutto il cuore, iniziarono a ruotare tante persone che insieme scelsero di fare qualcosa per il paese. Così nacque la prima associazione di volontariato della quale ho fatto parte.

Per mantenermi gli studi continuai a lavorare sempre anche alla pizzeria dei miei genitori e la gente che incontravo ogni giorno era moltissima. A chi quotidiamente mi chiedeva “…e che cosa studi?” io con grande entusiasmo rispondevo “lettere moderne!”. A quel punto la domanda successiva era scontata “ah… e che vorresti fare dopo?”, come se scegliere un indirizzo umanistico o artistico presupponesse automaticamente l’esclusione dal mondo del lavoro.

Forse l’amore e la passione che sempre ho messo in tutti i lavori che ho fatto, forse gli insegnamenti dei miei genitori che hanno sempre lavorato con il sorriso sulla bocca anche fino alle cinque di notte, forse proprio quella domanda tanto odiosa “e che avresti intenzione di fare, dopo?” mi hanno spinta a cercare un lavoro anche durante la realizzazione della tesi. E così, appena laureata, mi trovai nei primi tra gli esclusi sia per fare il servizio civile al Comune di Certaldo sia per fare un tirocinio formativo alla nuovissima casa natale di Leonardo da Vinci. Nel primo caso arrivai quinta su più di ottanta partecipanti, ma gli ammessi erano solo quattro. Ne secondo caso mi chiamarono per un colloquio dopo varie disdette. Negli stessi giorni una ragazza rinunciò al servizio civile a Certaldo e vinsi la candidatura a Vinci. Scelsi di entrare quarta a Certaldo piuttosto che prima a Vinci perché il servizio civile mi permetteva un’esperienza annuale contro il tirocinio che, invece, sarebbe rimasto attivo per meno mesi, pur con un compenso più alto. Così iniziò la mia piccola grande esperienza tra la biblioteca e l’ufficio stampa del Comune di Certaldo. Conobbi professionisti che senza nessuna remora mi insegnarono ogni aspetto del lavoro e conobbi per la prima volta la macchina comunale che, vista da fuori, sembra lenta e poco produttiva, ma, vista da dentro, ha un caleidoscopio di professionalità, passione, impegno e amore per il lavoro e per il paese che, purtroppo, spesso, non traspare. Conobbi le associazioni e le realtà del territorio e tornò la vecchia passione per la comunicazione che, comunque, dai miei 16 anni, non avevo mai abbandonato del tutto e che era rimasta sotto forma di articoli e relazioni che scrivevo per vari blog o portali.

Il servizio civile per me è stato la chiave per riaprire la porta dei sogni. Ho fatto molto di più di un anno di lavoro e ho fatto molto di più di un anno di volontariato. Non ho mai guardato alle ore che dedicavo al mio compito perché per me era un divertimento e, spesso, anche una grande responsabilità che sentivo tutta sulle spalle. Pur nelle piccole cose. Un anno di amicizie e di grande crescita personale e professionale. Un anno in cui quella frase che avevo sentito dentro di me, salendo la scale de La Nazione, ha compiuto il suo senso. Dopo il servizio civile ho subito aperto la mia partita IVA per gestire un mio ufficio stampa con servizi di gestione social media e ho lavorato un anno così, conoscendo sempre persone nuove, inventando progetti diversi e soprattutto divertendomi, come sempre. Durante questa fase il candidato sindaco del mio paese mi ha chiesto una mano dal punto di vista della comunicazione per la campagna elettorale. Ha vinto le elezioni e mi ha scelta come assessore alla cultura, alla comunicazione, all’innovazione e smart city e agli eventi.

Oggi sono il vicesindaco di un comune di 18mila abitanti, con le stesse deleghe. Soprattutto sono la stessa persona che ha servito pizze e spaghetti allo scoglio per una vita, che ha seguito le lezioni all’università con la pesantezza del sonno sugli occhi dopo una notte a pulire i tavoli di un pub, sono la stessa persona che a 16 anni ha avuto la sfacciataggine di salire le scale della redazione di un giornale per chiedere se poteva portare dei caffè, la stessa persona che ha dedicato volontariamente anche 12 ore al giorno al servizio civile, la stessa persona che ha amato tutti i lavori che ha fatto allo stesso modo.

Ad oggi questa è la mia storia e il servizio civile è la parte centrale di questo racconto: lo snodo essenziale che mi ha permesso di mandare a quel paese tutti coloro che, con fare scettico, mi hanno chiesto “ah… lettere, e dopo che farai?!”. L’esperienza che mi ha fatto capire di essere grande abbastanza da reggere il mondo del lavoro, pur con una laurea in lettere, pur avendo creduto nei miei sogni. Da sola, ma insieme a tutti gli altri. Con il sorriso!

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