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La fotografia come metodo antropologico

Filippo - Giovanisi+

Fotografia e antropologia: usare le immagini per documentare usi e costumi di culture diverse dalle proprie. Filippo Steven Ferrara è un giovane fotografo residente in toscana che ha partecipato al progetto “La Via della Cina”, realizzato dallo studio Dry Photo Arte Contemporanea di Prato, uno dei vincitori del bando “Toscanacontemporanea2018”, promosso dalla Regione Toscana nell’ambito di Giovanisì (macroarea: Giovanisì +)

Come sei venuto a conoscenza del progetto “La Via della Cina”, realizzato da Dry Photo Arte Contemporanea di Prato e finanziato dalla Regione Toscana nell’ambito di Giovanisì attraverso il bando “Toscanacontemporanea2018”?

Ho appreso del progetto sul sito di “La Repubblica”. Ero molto interessato alla tematica dell’immigrazione, e non conoscendo Prato, ho pensato fosse stimolante confrontarmi con una realtà che sapevo essere molto complessa anche per la forte presenza di una folta comunità cinese, così ho inviato il mio progetto a Dry Photo e fortunatamente sono stato selezionato.

Attraverso il progetto “La Via della Cina” è stato chiesto a 4 giovani fotografi, tra i quali tu, di raccontare la città di Prato, e in particolare la realtà del Macrolotto 0. Ci puoi descrivere la tua esperienza?

La mia idea era quella di focalizzarmi sui giovani cinesi che abitano all’interno del Macrolotto 0. Ero interessato a documentare i loro luoghi di ritrovo e naturalmente le loro abitudini. Ma, portando avanti il progetto, e recandomi in loco, mi sono reso conto che questi luoghi che io mi ero immaginato mancavano all’interno di quello spazio. Ben presto, infatti, ho capito, anche grazie all’aiuto dei giovani studenti cinesi in alternanza scuola-lavoro che mi accompagnavano durante le mie visite al quartiere, che i luoghi di aggregazione giovanile nel quartiere sono limitati e che molti giovani trascorrono molto tempo libero in casa, occupando il tempo sui social o giocando ai videogames.

Ero molto interessato alla tematica dell’immigrazione e ho pensato fosse stimolante confrontarmi con una realtà che sapevo essere molto complessa

Così, in corso d’opera, ho deciso di concentrarmi su un altro tema: quello dell’identità cinese delle giovani generazioni di immigrati. I giovani cinesi che abitano nel Macrolotto sono i rappresentanti della Seconda Generazione di immigrati e, pur crescendo in un contesto familiare cinese, sono comunque a stretto contatto anche con la realtà esterna a questo, anche solo per il fatto di frequentare scuole italiane. Mi interessava quindi raccontare, attraverso la fotografia, il legame di questi giovani nati e cresciuti in Italia con la cultura del loro paese. Per tale motivo, il nucleo del mio lavoro è stato affiancare ai ritratti dei giovani elementi del contesto in cui vivono che ricordassero il fortissimo attaccamento alle proprie origini.

Filippo Steven Ferrara, fotografia realizzata nell’ambito del progetto “La Via della Cina”

Parlaci del tuo background: che studi ai fatto, di cosa ti occupi adesso e da cosa nasce la tua passione per la fotografia?

Io sono mezzo tedesco e mezzo italiano. Sono nato in Germania, ma cresciuto in Toscana, a Firenze. Ho frequentato l’università a Monaco di Baviera, dove mi sono laureato in antropologia ed è stato proprio durante i miei anni universitari che ho scoperto la fotografia. Durante le mi ricerche in ambito antropologico, ho iniziato a usare la macchina fotografica come una sorta di taccuino alternativo, documentando attraverso le immagini. Col tempo mi sono reso conto di quanto mi affascinassero di più la narrazione e la documentazione per immagini che non quella scritta. Così, dopo essermi laureato, ho seguito un Master in fotogiornalismo a Roma e ho lavorato a un progetto sulla marginalità con protagonista la storia di una giovane immigrata iraniana ed ho cominciato a collaborare con l’agenzia “Parallelo Zero” di Milano, da cui sono stato selezionato per un programma di Fellowship. In seguito a questa opportunità ho cominciato a lavorare attivamente in ambito fotografico.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Sono appena tornato dall’Etiopia, dove ho lavorato a un progetto in collaborazione con una Onlus Medica. Attualmente invece sto portando avanti due progetti paralleli: uno sulla precarietà giovanile in Calabria (terra d’origine di mio padre) e uno sulla marginalità giovanile a Firenze. Marginalità e immigrazione sono le due parole chiave del mio lavoro di fotografo.

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