Il progetto della Regione Toscana per l’autonomia dei giovani

Pubblichiamo l’articolo di Enrico Rossi “Le sfide del territorio” uscito sulla rivista “ItalianiEuropei”.

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Che cosa è il territorio? Chi è che ci sfida? E di quale portata sono queste sfide? Se non proviamo a sciogliere queste formule talvolta un po’ stereotipate in concreti rapporti sociali, economici, culturali fra individui ed organizzazioni in un peculiare ambiente naturale e antropico, rischiamo di far diventare il territorio una sorta di categoria dello spirito oppure, peggio, soltanto oggetto di retorica politica. Questo sembra essere stato il destino dei due poli attorno ai quali si è articolata la vicenda politica italiana, antica e recente, la questione meridionale e quella settentrionale. All’interno delle quali si è per l’appunto persa ogni specificità e diversità territoriale, ogni specifica identità e qualità in un mitico quanto sconosciuto Nord e in un atavico e presunto immobile Sud. I territori dell’Italia di mezzo sono rimasti schiacciati fra questi due poli, senza un proprio racconto e con una identità sfumata, se non legata alla tradizionale triade turismo-cultura-coesione sociale bloccata in un passato immoto ed avulso da qualsiasi dinamica produttiva. Così l’Italia di mezzo ha subito nel corso degli ultimi anni di un deficit di rappresentazione e centralità economica e politica. Ecco che invece è importante per l’Italia che anche questa parte del paese riesca ad aggiornare il proprio racconto di sé, comprendendo ed evidenziando le dinamiche che la hanno caratterizzata, sviluppando le connessioni materiali e immateriali di tipo trasversali e che legano quest’area del paese ad altre parti d’Europa. Insomma un posizionamento strategico nuovo dell’Italia di mezzo che fa leva sulla qualità e l’innovazione dello sviluppo di questi territori e così affronta le sfide davvero epocali imposte dalla globalizzazione.

Dunque, la prima sfida del territorio è quella di valorizzare i nodi della rete, cioè le eccellenze del locale, e collegarle in una rete transnazionale, ovvero lo spazio globale. E’ qui il senso del progetto del Corridoio Mediterraneo Balcanico che la Regione Toscana sta portando avanti in diverse sedi istituzionali europee: una rete transeuropea di trasporto basata sulle relazioni tra regioni del Mediterraneo Occidentale (porti spagnoli) e la regione dell’Alto Tirreno (Porto di Livorno), sviluppando le Autostrade del Mare e le infrastrutture portuali anche ai fini di una maggiore connessione con il Nord Africa. Dal porto di Livorno, attraverso il “corridoio tirrenico”, si sviluppa la connessione trasversale in ambito italiano definita dall’itinerario europeo E78 (Grosseto-Fano), con la regione adriatica, il porto di Ancona, la regione balcanica con la Croazia, la Bosnia, l’ Erzegovina, la Serbia e il Montenegro fino alla Romania (il porto di Burgas sul Mar Nero). Sul piano trasportistico, un corridoio di alleggerimento, che non vuole sostituirsi ma porsi in sinergia rispetto ai corridoi strategici come il corridoio 3 “Mediterraneo”. Ma prima di tutto una rete infrastrutturale che non è indifferente al territorio limitandosi ad attraversarlo e magari a ferirlo. Il trasporto multimodale presenta molteplici potenziali positivi, primo fra tutti una riduzione dei costi e dei tempi di trasporto tra i paesi e le regioni periferiche dell’Europa meridionale e i paesi candidati o che hanno recentemente aderito all’Unione europea. Un altro effetto positivo sarà legato al ridimensionamento del binomio centro-periferia del sistema economico europeo, in uno spirito di riequilibrio economico e territoriale dell’Unione Europea. Un sistema portuale mediterraneo più efficiente rappresenta, infine, un punto di accesso più funzionale per i paesi del Nord Africa verso i mercati europei e viceversa.

L’infrastrutturazione del territorio è oggi una grande sfida perché richiede di governare fenomeni complessi, di trovare equilibri di interessi diversi e spesso contrastanti; avendo la disponibilità ad ascoltare le (buone) ragioni di tutti, soprattutto di chi vive e fa vivere il territorio, ma allo stesso tempo tenendo ferma la propria responsabilità che è quella di promuovere lo sviluppo del territorio. Eppure la continua innovazione e il rinnovamento della dotazione infrastrutturale sono le precondizioni di qualunque sviluppo e il rischio dell’immobilismo e delle mancate scelte non è più sostenibile. In terra di Toscana questo significa, ad esempio, costruire un vero sistema aeroportuale integrato fra Pisa e Firenze, superando l’assurda competizione localistica che ha bloccato lo sviluppo di entrambi. E’ per questo che Regione Toscana è tornata ad acquisire un ruolo societario nell’aeroporto di Firenze, proponendosi come l’unico soggetto che può dirigere la governance verso una vera collaborazione e integrazione con Pisa e verso lo sviluppo dell’intero territorio regionale. Ma scegliere la strada dell’integrazione del sistema aeroportuale porta con sé la decisione altrettanto determinata di migliorare le infrastrutture di adduzione agli aeroporti (penso al progetto People-Mover che collegherà la città e l’aeroporto di Pisa), quelle di collegamento fra le due città (tanto la linea ferroviaria e i suoi vettori quanto la superstrada Firenze-Pisa.Livorno saranno oggetto nei prossimi anni di importanti interventi), e quelle di collegamento fra la capitale regionale e le altre città della regione (una fra tutte Siena).

Ma il territorio oggi è sfidato dalle dinamiche globali e, parlando di infrastrutture, dobbiamo sapere che il problema non è solo (né più tanto, si direbbe) trasportare persone e cose, bensì informazioni. Ed ecco il tema delle infrastrutture digitali, una vera e propria rivoluzione che ci parla di velocità e di capacità certamente (la copertura dell’intero territorio regionale con una fibra a banda larga di capacità e velocità adeguata agli standard europei è il nostro principale obbiettivo dei prossimi mesi), ma prima ancora ci dice qualcosa sul tipo di società e di cittadinanza che immaginiamo per il prossimo futuro e che fin d’ora la Regione è impegnata a realizzare: l’accesso ai dati in modo sicuro e aperto (open data), la realizzazione di sistemi di cloud computing attraverso i quali fornire sempre maggiori servizi ai cittadini e garantire spazi sufficienti per tenuta dati e altri servizi alle imprese. L’impostazione della Regione Toscana nell’affrontare la questione della dematerializzazione delle proprie procedure, della conservazione degli archivi digitali e della gestione telematica del flusso delle informazioni, è sempre stata quella di una forte integrazione della Regione con gli Enti Locali e le articolazioni della società toscana, nella convinzione della necessità della correlazione fra le infrastrutture materiali e quelle immateriali e che le infrastrutture ICT producono economie significative e possono contribuire non poco a migliorare la qualità della vita dei cittadini. Uno degli esempi più significativi di questa impostazione di Rete è stata la metodologia delle gare “aperte” di ICT, accessibili anche agli enti che lo desiderano così da permettere risparmio economico e favorire (senza imporre) soluzioni omogenee sul territorio. Altro esempio è la recente realizzazione di TIX2, un ambiente multifornitore che offre servizi a tutte le amministrazioni del territorio regionale.

Il tema dell’ICT appena toccato ci conduce ad un’ulteriore riflessione sul territorio produttivo della Toscana, terra dove l’idea dell’economista Giacomo Becattini sui distretti si è fatta realtà, generando e sostenendo produzioni di qualità, occupazione e formazione di competenze, soluzione a problemi nuovi come quelli legati all’impatto ambientale di alcune lavorazioni. Anche qui da noi la crisi ha picchiato duro, spingendo ai margini lavoratori adulti espulsi dal mondo del lavoro, giovani che non riescono ad entrarvi stabilmente, donne colpite dalla pratica delle “dimissioni in bianco”, cittadini stranieri in crescente difficoltà di inserimento nel tessuto sociale e produttivo della regione, anziani esposti al rischio povertà da pensioni basse e crescente costo della vita. Il tema della coesione sociale è l’ulteriore sfida del territorio. Ma questa, nel 2012, si declina da un lato nella capacità di ricostruire reti di protezione sociale e di cittadinanza attiva (vedi la normativa toscana sull’immigrazione o la gestione civile e umana del fenomeno profughi del nord Africa) e dall’altro nella ripresa dello sviluppo, della produzione e della formazione continua, nonché della valorizzazione delle risorse endogene del territorio. Abbiamo per questo utilizzato tutte le risorse economiche possibili derivanti anche dai Fondi Europei per sostenere la Cassa Integrazione per le aziende in crisi ma, appunto, legandola a percorsi obbligatori di formazione e aggiornamento professionale dei lavoratori, proprio per non perdere risorse del territorio e aiutare al rientro nel sistema produttivo.

Nella stessa direzione della valorizzazione delle risorse endogene del territorio abbiamo agito in due direzioni: la ridefinizione di nuovi distretti e l’investimento nei giovani.

Abbiamo individuato 5 nuovi distretti tecnologici, ossia cinque super-reti che uniscono sotto un unico “tetto” imprese, enti specializzati nella ricerca e istituzioni impegnate nella promozione delle eccellenze strategiche per l’economia toscana. I settori d’azione sono quelli dell’information & communication technology, delle scienze della vita, dei beni culturali, delle energie rinnovabili e delle tecnologie ferroviarie. Una leva fondamentale per gli obiettivi di lavoro e sviluppo, binomio fondamentale nel quadro delle politiche definite dalla programmazione regionale, che vedono al centro il rilancio del manifatturiero. Poli di innovazione per sostenere le eccellenze e raggiungere gli obiettivi di qualità e innovazione indispensabili a rendere il sistema produttivo toscano competitivo nella sfida su scala europea.

In questa stessa logica di innovazione che dal territorio è in grado di affrontare le politiche di sviluppo di respiro europeo abbiamo concepito e avviato il progetto Giovanisì. In Toscana siamo convinti che i giovani non sono un problema, ma la soluzione per tornare a crescere ed uscire dalla crisi. Puntare sui giovani, metterli in condizione di prendere in mano le redini del proprio futuro, sostenerli nel loro processo di acquisizione di indipendenza economica, abitativa e lavorativa servirà non solo per migliorare la qualità della vita delle nuove generazioni ma anche a farci uscire, tutti, dalla crisi che stiamo attraversando. Il progetto “Giovani Si” riunisce una serie di interventi per permettere alle nuove generazioni di conquistare la propria autonomia. Fino al 2013 dedicheremo a questo progetto oltre 334 milioni di euro. I risultati di questi primi mesi sono incoraggianti: abbiamo attivato oltre 1200 tirocini retribuiti; circa 2.000 giovani si sono rivolti ai nostri uffici per richiedere il contributo per l’affitto; 2.000 ragazzi e ragazze hanno iniziato il servizio civile. Poi è stata la volta dell’iniziativa per sostenere la crescita di nuova imprenditoria giovanile, e abbiamo ricevuto centinaia di richieste. Abbiamo infine offerto ai giovani laureati l’opportunità di prestiti d’onore per percorsi di alta formazione e specializzazione in Italia e all’estero.

Dunque, il territorio inteso non come una tabula rasa, su cui è possibile trapiantare senza crisi di rigetto qualsiasi cosa; bensì un complesso diversificato, ricco di qualità, di valori, di possibilità che può restituire benessere, sviluppo se impariamo a leggerlo, a interpretarlo e a prendercene cura. Ad esempio con una politica urbanistica equilibrata, che mette il territorio al centro di un intervento di riuso attento ai valori ambientali e paesaggistici, rompendo la catena dell’espansione edificatoria legata alla rendita e affiancando il recupero dell’esistente a una rivalutazione delle risorse rurali.

C’è un dato evidente con cui dobbiamo misurarci: i cambiamenti climatici producono cambiamenti sulle basi materiali della nostra vita. Ormai siccità e alluvioni, allagamenti, frane e prolungata scarsità d’acqua convivono, e ciò comporta effetti negativi sull’ambiente, sull’agricoltura e sul paesaggio.

Abbiamo sperimentato tutto questo proprio in questi anni con le alluvioni che ripetutamente hanno colpito la regione, dove al di là della eccezionalità delle precipitazioni, si è dimostrato come la mancata manutenzione di aree boschive, corsi d’acqua e declivi collinari, così come una intensa urbanizzazione in aree sottoposte al rischio idraulico abbiano reso incontenibile l’evento naturale eccezionale e prodotto lutti e danni enormi. Oggi in Toscana non si può più edificare in aree ad alto rischio idraulico. Nessuna Regione in Italia si era spinta a tanto, eppure non basta.

La grande, vera sfida è quella di costruire risposte dal territorio ai grandi problemi globali, e facendo ciò creare catene regionali di valore e lavoro che cambiano la qualità dello sviluppo. Penso ad esempio allo sviluppo di una cultura della manutenzione che può costituire – soprattutto in una regione come la nostra che detiene la maggiore vastità di superficie boscata d’Italia – un ciclo economico e naturale chiuso, che produce occupazione e sviluppo compatibile con una impronta ecologica limitata e sostenibile. La coltivazione dei boschi può produrre molteplici effetti positivi: la capacità del terreno si assorbire l’acqua piovana alimentando le falde ed evitando il veloce e devastante rovescio a valle che depaupera i terreni collinari e boschivi della propria ricchezza biologica e alimenta il rischio alluvione; la realizzazione di impianti di produzione energetica da biomasse alimentati da legname locale, una filiera corta e sostenibile; gli effetti sul mantenimento della biodiversità e di miglioramento della qualità dell’aria.

E’ anche il caso dell’energia, nel quale i territori giocheranno sempre più un ruolo decisivo. In tre direzioni:

1. la valorizzazione delle risorse energetiche locali (e in Toscana questo significa soprattutto geotermia e biomasse);

2. un programma di miglioramento dell’efficienza energetica di immobili pubblici e privati, delle industrie e dei trasporti. Qui il margine di miglioramento, economico e ambientale, è enorme e di nuovo entra in gioco il tema della manutenzione, ad esempio del patrimonio edilizio con oltre 30-40 anni di vita, che può dare nuova linfa al settore delle costruzioni senza dover consumare altro suolo.

3. Sviluppo della fonti energetiche rinnovabili. E su queste il nostro impegno è per soluzioni che non riproducano forme di estesa impermeabilizzazione dei suoli o sottrazione degli stessi ad attività agricole, ma per soluzione tecnologicamente innovative già disponibili.

Il cambiamento climatico in corso richiederebbe un cambiamento di civiltà. Questo dovrebbe comprendere idee guida per l’azione, sia come riferimento esistenziale (dallo stile di vita all’etica professionale), sia come definizione delle priorità della collettività. Un progetto istituzionale, cioè nuove norme e istituzioni che mantengano la dinamica dell’economia entro i limiti di rigenerazione della biosfera. E Infine una sfida tecnologica, cioè la riorganizzazione dell’hardware sociale in tecnologie meno energivore e più rispettose della natura. Perchè, come aveva già intuito Cesare Luporini nei primi anni ’70, “la scienza e la produzione, che hanno inferto la ferita, possono guarirla ritrovando e stabilendo superiori equilibri e cicli vitali”.

“Ma – proseguiva – è altrettanto chiaro che per procedere così in avanti al ‘posto di comando’ sta la politica”. Per questo compito epocale, io credo, il neoliberismo non è all’altezza: il principio della completa deregolazione delle attività economiche, con la sua ossessione per l’efficienza economica che gli ha fatto perdere di vista gli altri obiettivi sociali come la giustizia e l’ecologia, si rivela impotente di fronte alle crisi globali della povertà e dell’ambiente. Mentre le risposte alle contraddizioni globali, a partire da quella relativa ai cambiamenti climatici, le troviamo sul territorio, nel suo ritorno da soggetto protagonista nell’agenda della politica di oggi. Fuori da qui, in una politica avulsa dal territorio, distante dai luoghi dove la vita delle persone si svolge, attenta solo agli spread e agli indici della Borsa oppure dei sondaggi d’opinione, non v’è salvezza.

Fonte: Toscana Notizie